articolo di Roberto Levantaci
Con il suo mancino al tritolo faceva quello che voleva, non un piede semplicemente educato il suo, ma telecomandato. Le punizioni le calciava direttamente da casa sua, violente e precise, quasi sempre nel sette. Un campione dentro e fuori dal campo Sinisa Mihajlovic, calciatore di mezza serie A prima, allenatore poi. Si è spento all’età di soli cinquantatré anni, dopo una lunga malattia che lo ha tenuto solo ultimamente lontano dai campi di gioco. Lascia moglie e cinque figli. Croato di nascita, di nazionalità serba, adottato italiano. Dalla Lazio alla Roma, dall’Inter alla Fiorentina, dal Toro alla Samp, fino ad arrivare al Bologna, la sua ultima squadra da mister. Esempio di tecnica e tattica, guerriero, combattente, professionista serio. Fosse stato per lui sarebbe rimasto sulla panca dei rossoblu fino alla fine dei suoi giorni. Abnegazione e sacrificio, lottatore vero, grande uomo di sport. Ha continuato a lavorare seriamente anche quando la leucemia si è accanita contro di lui. Lo ricorderemo con la sua immancabile coppola, mai banale, sempre un po’ sopra le righe, schietto e sincero. Non esattamente un campione di simpatia, Sinisa, ma con un cuore grande così. Quel cuore che oggi ha smesso di battere. Ciao Sinisa, indimenticabile campione di calcio, vera leggenda, padre, marito, uomo esemplare. Arianna, la sua compagna, l’ha definita una morte “ingiusta e prematura”. Come tutte le cose belle, aggiungiamo noi, e che finiscono troppo presto.